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Il caos in Libia, l’Italia dov’e?

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In Libia bisogna evitare che la situazione degeneri in un conflitto armato protratto e sanguinoso. L’avanzata delle truppe del generale Haftar, sostenuto da Emirati, Egitto e Francia, alla volta di Tripoli sta scatenando la risposta da parte delle forze che controllano la capitale, sostenute dal Qatar e dalla Turchia, e delle forze di Misurata. Tutte le parti in causa Si sono dette pronte a resistere o intervenire: il rischio di che la situazione degeneri in un bagno di sangue feroce e protratto nel tempo è dietro l’angolo. La vicenda somala e quella siriana devono far riflettere sui pericoli di trascinare un paese di per se fragile e disorientato in una guerra civile di fazioni armate l’una contro l’altra che diventa guerra per procura tra potenze.

La crisi libica non può essere risolta adottando il modello dell’uomo forte che è già fallito in Libia e che non assicura nessuna stabilità a un paese dal basso senso di unità nazionale, frammentato tra tante tribù che controllano porzioni del territorio.

Serve un intervento di mediazione internazionale, autorevole e concertato tra tutte le potenze regionali coinvolte, come richiamato dall’Unione europea, dall’ONU e da altri governi europei. Il futuro di una Libia stabile e unita non può passare da una soluzione negoziata con le armi, ma va cercato in un compromesso che ristabilisca il primato di regole condivise e che crei un senso di appartenenza alla comunità nazionale. Per questo sono risuonate di particolare buon senso le posizioni presa da Ue e Onu che invitano le parti alla mediazione e alla responsabilità.

In questo scenario, preoccupa il silenzio del governo italiano. L’Italia è direttamente investita dalle conseguenze – in termini di sicurezza energetica, contrasto al terrorismo e alla instabilità, di controllo dei flussi migratori – di qualsiasi peggioramento della situazione in Libia e dovrebbe essere in prima linea per favorire soluzioni per la stabilizzazione e la pace. L’isolamento internazionale nel quale il governo ha costretto l’Italia, il vuoto di sei mesi rispetto alla nomina dell’ambasciatore ci hanno tolto quel ruolo di mediatori riconosciuto da tutti e ci hanno resi irrilevanti.

Il silenzio del presidente del Consiglio Conte e del ministro degli Esteri Moavero in queste ore è assordante (scrivo alle 1530 non c’è stata una dichiarazione del ministro Moavero a più di 36 ore dal precipitare degli eventi) ed è spiegabile solo con una incapacità italiana di attivarsi per facilitare la mediazione.

L’ultima volta che il governo Conte si è preoccupato della Libia è stato a novembre durante la conferenza di Palermo. Il presidente del Consiglio lo ha descritto come un momento di pacificazione alto, come l’avvio di nuovi rapporti tra Serraj e Haftar all’insegna dello spirito di Palermo, cioè un rinnovato sforzo per il rilancio della mediazione. Sostanzialmente a Palermo si è consumata l’occasione per una photo opportunity di Conte con Haftar e Serraj, senza che seguisse nessun intervento italiano di mediazione e di sostegno per esempio ai sindaci, come veniva fatto nei mesi passati, o delle realtà locali.

Il governo Conte ha un approccio cinico alla Libia: chiude il mare tra l’Italia e la Libia e di quello che accade in Libia non si occupa. Abbiamo avuto la sede diplomatica senza un ambasciatore per sei mesi: non è colpa di Macron, non è colpa di Juncker; è colpa del fatto che il ministro degli Esteri ed il ministro dell’Interno non riuscivano a mettersi d’accordo su chi destinare a quella sede.

Per questo come PD abbiamo chiesto che il presidente del Consiglio venga a riferire in aula sul peggioramento della situazione in Libia.

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